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da sabato 18 a martedì 21 ottobre

Tre Ciotole

di Isabel Coixet — Italia, Spagna, 2025, 120 minuti
Drammatico

Con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Silvia D'Amico, Galatéa Bellugi, Francesco Carril.

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Trama

Dopo sette anni insieme, Marta viene lasciata da Antonio, stanco delle sue ritrosie, del suo non saper fingere e del suo evitare le cose che non le piace fare. Marta soffre la sua assenza, anche fisicamente, ma prosegue nel lavoro di insegnante di educazione fisica al liceo, continua a mangiare in maniera disordinata, e manda stroncature sotto falso nome al ristorante di cui Antonio è proprietario e chef. Il suo interlocutore è soprattutto il cartonato di un cantante K-pop coreano, che ascolta le riflessioni sulla vita della donna e le dorme accanto.

La sorella Elisa cerca di stare vicino a Marta, soprattutto quando i mal di pancia si rivelano dovuti non solo alle "schifezze" che mangia. E un suo collega di lavoro, il professor Agostini, cerca di acchiapparla
mentre lei sfugge in bicicletta, per le strade di una Roma altrettanto sfuggente, cercando le cose che sembrano dirle che andrà tutto bene, nonostante tutto.

Tre ciotole è l'adattamento dell'ultima raccolta di racconti di Michela Murgia.

Recensione

La scrittrice era già cosciente della malattia che l'avrebbe condotta ad una morte prematura, e di quell'imminenza è imbevuto, ma è anche della consapevolezza leggera con cui ha affrontato il suo destino, cogliendo il significato non della sua prossima dipartita, ma della sua presenza nel mondo. La regista spagnola Isabel Coixet, che aveva già affrontatoil tema del fine vita con La mia vita senza di me, cambia di segno la sua storia, mostrando una protagonista che non intende lasciare una eredità, ma crea una rete di connessioni quasi involontarie di cui è il centro, senza essersi mai messa in primo piano.

La regia di Coixet è fatta di momenti, tessere di un mosaico che trova la sua definizione solo alla fine, e la sceneggiatura, della stessa Coixet e di Enrico Audenino, ha la delicatezza di una fiaba, e allo stesso tempo quell'onestà cruda che era la cifra esistenziale e comunicativa di Michela Murgia. L'invito è a "smetterla di occuparsi delle cose stupide" e a "fare della propria vita ciò che vogliamo", fregandosene di quello che pensa la gente. Si esce dalla visione del film non tristi, ma motivati a non sprecare neanche un minuto in stronzate, o con gente che non ci piace e che ci fa sentire soli.

Alba Rohrwacher abita il personaggio di Marta comprendendone più i silenzi che le parole, più le riluttanze che le azioni, e prestando la sua naturale timidezza e ostinazione a una figura femminile insolita per
il cinema italiano (e internazionale) perché non è come gli altri ma non ne fa né una bandiera né una colpa, è selettiva senza essere arrogante, presente a se stessa senza dover definire ogni sua emozione.
Elio Germano, specularmente, usa la sua rabbia per costruire il ritratto di un uomo che ha impostato la sua vita sul raggiungere obiettivi dimenticando la gioia di fare le cose per niente.