di Carine Tardieu — Francia, Belgio, 2024, 106 minuti
Drammatico
Con Pio Marmaï, Valeria Bruni Tedeschi, Vimala Pons, Raphael Quenard, César Botti.
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Trama
Sandra vive sola - anzi, non sola, con i suoi libri - e gestisce una libreria "intellettual-femminista" (secondo una definizione maschile); fuma molto, regge bene il vino, non cucina, ha compagni occasionali, non ha figli e "non sa niente di bambini" (altra definizione maschile). Quando la sua vicina di casa molto incinta esce di corsa per andare a partorire, affidandole temporaneamente il figlio Elliott di cinque anni, Sandra lo accoglie a metà fra il disagio e la tenerezza. Purtroppo la madre di Elliott muore durante il parto (succede nei primi dieci minuti) ed Elliott dovrà crescere con la sorellina neonata Lucille e suo padre Alex - che non è il padre biologico del maschietto. E Sandra si ritroverà ad entrare nell'intimità famigliare di questo trio spaesato, lei più spaesata di loro. Ma quando si crea un attaccamento affettivo non ci si può chiamare fuori, e si fa tutto ciò di cui siamo umanamente capaci.
Recensione
"Qual è la differenza fra amore e attaccamento?", chiede L'attachement - La tenerezza della regista francese Carine Tardieu, che adatta per il grande schermo il romanzo "L'intimité" di Alice Fernay insieme alle cosceneggiatrici Raphaele Moussafir e Agnès Feuvre. La risposta non è lapidaria ma empatica, e sembra suggerire che ci siano attaccamenti più forti e più nobili dell'amore, perché non implicano il possesso e comportano invece il rispetto della libertà di chi ci è caro.
L'attachement - La tenerezza non commette mai l'errore fatale di accontentarsi della sua premessa narrativa e restare inchiodato lì, portando il pubblico a conclusioni prevedibili. Qui accadono invece un sacco di micro e macro eventi che continuano a cambiare le carte in tavola, per noi spettatori e per i protagonisti, e che richiedono costanti aggiustamenti - come la vita, del resto. I rapporti non si limitano al quartetto centrale, ma si allargano ad altre figure, come la sorella di Sandra, la nonna dei bambini (una delicatissima Marie-Christine Barrault) e il padre naturale di Elliott (il sempre sorprendente Raphaël Quenard). "Occuparsi di un'altra vita richiede forza", dice Sandra, parlando del perché non ha voluto figli, ma di fatto la vita la porta ad occuparsi di tante altre esistenze, e lei lo fa con grazia e generosità: il che non le impedisce di rimanere una donna adulta e indipendente "di cui non ci si deve preoccupare", che fa scelte ragionate (ma sa anche aprire il proprio cuore e ascoltarne il battito altrui). Tardieu racconta la storia di questo pugno di esseri umani fragili e affettuosi con una morbidezza di sguardo che commuove senza mai diventare melensa: e il contatto fisico, mai nominato, è l'architrave di una narrazione che comincia con i gesti di una madre pieni di cura nel vestire suo figlio e finirà con un'adesione corpo su corpo del tutto priva di violenza. Valeria Bruni Tedeschi è bellissima (non solo nel senso estetico ma in quello etico) nel ruolo di Sandra, ed evidentemente la regista è stata abilissima nel tenere a freno i potenziali istrionismi della sua prima attrice, allo stesso tempo evidenziandone la natura anarchica e mercuriale. Tardeu è anche bravissima a far recitare con infinita naturalezza i bambini in scena e l'eccellente Pio Marmaï nel ruolo di Alex, uomo responsabile e gentile ma a volte retorico, intento all'occasionale mansplaining ma pronto ad accettare fino in fondo, nelle sue umane contraddizioni, una femminista convinta come Sandra. Lo stesso Elliott (l'adorabile César Blotti) è un bambino cinematografico sui generis: intelligente, intuitivo, sempre presente a se stesso, maturo senza diventare un adulto in miniatura, evidentemente cresciuto nella chiarezza e nella verità.